Il bello di essere stato un organizzatore di Startup Weekend in quei sei anni trascorsi in Treatabit è che ogni tanto ti arriva una email da qualche parte del mondo spedita da persone che vogliono fare due chiacchiere davanti ad un caffè per conoscere meglio le community di startup torinese.
Questo giro la email è arrivata direttamente da Boulder, Colorado, uno dei centri dell’imprenditorialità innovativa americana. Sì, avete letto bene: Boulder, Colorato. Non la Valley, non NY e nemmeno Boston, Massachusetts. Proprio lui: Boulder, Colorado.
Ed è così che tra la storia di come è nato il primo Startup Weekend (sì: ormai lo avrete capito, a Boulder, Colorado), dei billion che si sono fatte le startup di TechStar e di come negli ultimi 10 anni si è diversificato il sistema degli investimenti a rischio negli US, davanti ad un Bicherin in Piazza della Consolata, non resisto alla tentazione di chiedere: “ma perché proprio a Boulder, Colorado?”
Ed ecco la risposta dell’insider:
Perché è una città hippy. E tutti sono disponibili a dare una mano, almeno all’inizio, senza aspettarsi soldi in cambio. Questa è la risposta breve. La risposta lunga è che è perché c’è la cultura imprenditoriale. E poi ci sono stati investimenti pubblici. E poi ci sono le competenze: due grandi università che sfornano ogni anno talenti, sopratutto tecnologici.
Insomma, le stesse ragioni che hanno fatto grandi la Silicon Valley, secondo il grande teorico della Network Society, The Information Age: Economy, Society and Culture, Manuel Castells. “Culture”. Appunto, perché senza una cultura del rischio e anche della condivisione, difficilmente si crea un ecosistema innovativo.
Come dite, volete sentire anche il resto della storia? Ecco qui:
La storia di come è nato il primo Startup Weekend
Cominciamo dall’inizio: Techstar è acceleratore statunitense che nel 2007 ha dato vita al primo programma trimestrale di supporto di startup. Il programma è andato bene, ma gli organizzatori, una volta concluso, si sono chiesti: ma cosa ne sarà di tutte le startup che volevano partecipare ma che sono state esclude della selezione perché troppo immature. Ed è così che è nato Startup Weekend, il primo degli step del processo costruito da Techstar per supportare le imprese innovative.
Si comincia con un evento di 54 ore di full immersion per passare dall’idea all’MVP. I primi Startup Weekend sono stai organizzati negli Stati Uniti. Poi con gli anni si sono diffusi in tutto il mondo, ed è arrivato anche a Torino, nel 2011. Dall’anno successivo ne abbiamo organizzati uno o due all’anno, prima generalistici, poi tematici.
Dopo la prima full immersion di un weekend le startup possono passare al programma di accelerazione di 3 mesi di TechStar. Anche in questo caso i primi sono stati in Colorado e poi in tutto il mondo. In Italia al momento non ce ne sono, ma chissà…
Dei billion che si sono fatte le startup di TechStar
Insomma con questo processo TechStar è arrivata a costruire un workflow che porta ad avere il 10% di startup che falliscono, il 10% che vengono acquisite e l’80% che rimangono in vita e hanno successo.
Non male? Dico io.
Conferma l’insider:
Non male. Di solito è il contrario: con il 10%, 20% di startup che arrivano al successo. Il segreto di TechStar: il processo che è stato creato. E la piattaforma di condivisione che sta dietro. Un esempio? Tutti gli imprenditori hanno accesso ad una sorta di Slack privato di Techstar in cui condividono informazioni e contatti.
Di come si è diversificato il sistema degli investimenti a rischio in US
Prima era tutto: Valley, Valley, Valley. Mentre nelle altre città, anche quelle grandi, c’erano investitori interessati solo a startup ormai affermate. Poi anche a New York le cose sono cominciate a cambiare e ora ci sono tanti ecosistemi specializzati in settori verticali: dal fashion al design. Ma a cambiare sono anche le città più piccole: da Seattle a Kansas City.
Del perché di tante altre cose su Startup Weekend
Se tutto questo vi incuriosisce, ecco un libro di cui invece di una recensione ho preferito fare una postfazione all’edizione italiana che mai sarà nelle migliori librerie, e quindi la riservo per questo blog: Startup Weekend “How to Take a Company from Concept to Creation in 54 Hours“. Anche se in realtà più che come portare un’azienda alla sua nascita in 54 ore, il libro descrive le best practice per creare un’ecosistema delle startup e per formare all’innovazione. E le best delle best practice sono: openess e action based networking.
Openess significa che quando hai un’idea è più lungimirante condividerla che chiedere agli altri di firmare un NDA.
Action-based networking significa che va bene il networking davanti ad un prosecchino e una tartina di Platti, ma se vuoi che dal networking si sviluppino non solo relazioni ma anche competenze, deve essere integrato con lo sviluppo di nuove progettualità. Proprio come succede a Startup Weekend: degli sconosciuti si incontrano un venerdì sera. Si conoscono grazie ad un gioco che funge da ice breaker. Poi creano dei team e lavorano assieme per un intero weekend. Quanti unicorni sono nati da questo giochino? In Italia non tanti. Ma sicuramente tante relazioni, che hanno portato magari non alla costituzione di un’azienda ma alla collaborazione su altri progetti. Perché partecipare a Startup Weekend è uno dei modi migliori per fare recruiting se ti interessa trovare persone con una buona predisposizione all’innovazione.
E questa cosa dell’action-based networking io l’ho adottata in tutti i percorsi di formazione in cui sono coinvolta, perché credo che lavoro in team e sporcarsi le mani, siano le uniche regole per chi vuole imparare come innovare.
Quante cose si imparano da questi hippy di Boulder, Colorado, eh?!
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