Learning by doing in Università
Insegno da quando ero studente. Durante i primi anni di università ho infatti avuto la fortuna di poter insegnare… rullo di tamburi: informatica! Si trattava ovviamente di un’informatica di base, in cui il mio principale compito era fare capire da che lato inserire il floppy nel PC e rassicurare del fatto che non sarebbe successo nulla di brutto. Avvicinare le persone all’informatica significa infatti primi di tutto rassicurare. Il secondo passo è fare capire che può essere divertente. Che con l’informatica si possono costruire cose, come quando si gioca con il Pongo o con il Lego. E forse è proprio per questo che a volte è più facile insegnarlo ai bimbi che ai grandi. Perché sono più abituati ad imparare facendo, a non aver paura di “cosa potrebbe succedere se sbaglio” e a passare all’azione senza avere certezze a priori che quella imboccata sia la strada giusta. Perché poi, il segreto dei segreti, è che non esiste una strada giusta, ma solo percorsi più o meno lunghi, più o meno in salita, con qualche vicolo cieco, in cui si può (nella maggior parte dei casi) fare inversione a U.
Possono sembrare considerazioni ovvie, ma spesso ce ne dimentichiamo. Perché agli esami siamo abituati a dover imparare nozioni, a dover mettere una crocetta in corrispondenza di una e una sola risposta corretta. E anche per chi insegna a volte non è semplice sganciarsi da questo modus operandi. Perché comunque il fine ultimo sembra essere il voto. E quando il voto bisogna darlo a 300 studenti le crocette sembrano essere l’unica panacea. Quando i numeri (di studenti) me lo consentono, però, tento di approcciare l’insegnamento in un modo diverso. Quello dell’ormai famoso learning by doing o, detto all’italiana, imparare facendo, con l’aggiunta di un po’ di gamification.
Imparare (ed insegnare) la professione del social media manager
Il contesto in cui ho la fortuna di poter sperimentare è l’insegnamento di Social Media Management per gli studenti del Corso di Laurea Magistrale di Comunicazione, ICT e Media dell’Università di Torino / Dipartimento di Culture, Politica e Società. Tre anni fa mi è stato chiesto di insegnare Social Media. Io ho chiesto di aggiungere “management”. Perché non volevo focalizzarmi sull’oggetto (i social media), ma su una metodologia e una pratica che possa tornare utile anche quando i social media come li conosciamo oggi saranno diventati (ben che vada) vintage. E volevo focalizzarmi sul management della comunicazione (attraverso il canale dei social media), più che sul social media marketing (perché il marketing è ben altra cosa). Insomma, il mio obiettivo era avvicinare gli studenti alla professione del social media manager, nelle sue varie declinazioni: dal community manager, al SEO copywriter, fino alle digital PR.
Il problema è diventato dunque: come insegnare qualcosa di così pratico come la gestione della comunicazione? La risposta: lavorando concretamente con la materia prima della comunicazione! Dando agli studenti dei casi (dei brand, delle aziende, dei canali) con cui lavorare e poi lasciandoli (abbastanza) liberi di sperimentare e scontrarsi con le difficoltà e gli imprevisti che inevitabilmente si incontrano. Difficoltà che riguardano le piattaforme utilizzate (che cambiano più velocemente di quanto siamo abituati a veder cambiare un ambiente di lavoro). Difficoltà che riguardano il contesto con cui gli studenti devono interagire: aziende reali che, in quanto tali, sono soggette a cambiamenti, a decisioni, a pause ed accelerazioni che possono non aver nulla a che fare con la comunicazione (e con chi lavora su questo aspetto), ma che inevitabilmente la influenzano, la rallentano o impongono scadenze che sembrano irrealizzabili (ma poi ce la si fa).
Ovviamente questa incertezza è spiazzante. Il fatto che io non dia risposte ma dica sempre: “non so, prova“, lascia perplessi. “Ma non dovrebbe essere lei ad insegnarmi come si fa?!”. Purtroppo no, perché posso anche mostrare quale bottone cliccare su Facebook o correggere un paragrafo per renderlo più accattivante. Ma le frasi da scrivere sono infinite, e pure i cambiamenti che farà Facebook (o qualunque social media) nei prossimi anni. E l’unico modo di imparare qualcosa di infinito è “imparare come impararlo”, ossia facendolo: si inizia con un obiettivo, si ragiona sulla strategia e gli strumenti che si hanno a disposizione (anche facendosi ispirare da cosa fanno gli altri), si mette in atto il piano di comunicazione e si vede cosa succede, quali sono le reazioni, cosa si è sbagliato e cosa non si è nemmeno riusciti a fare. E in questo processo è molto più utile avere qualcuno con cui confrontarsi che qualcuno che dica cosa fare. E quel qualcuno posso essere io, può essere un blog, possono essere gli iscritti ad un gruppo Facebook o i colleghi di corso. Insomma, è quella che si chiama peer education. Apprendere dagli altri, dai propri “pari”, condividere reciprocamente suggerimenti.
Vediamo allora come è andata.
Il corso di Social Media, classe 2015-2016
1. Gamification, per superare la partenza a freddo
Obiettivo: interazione in classe.
Metodo: gamification analogica.
Ispirazione: un workshop di Daniele Biolatti sul Mobile Marketing. Daniele, per incoraggiare la partecipazione, aveva creato dei gruppi di lavoro ognuno dotato di un “carta punti” per collezionare sticker che si ricevevano ad ogni risposta corretta data durante la giornata di workshop.
In azione: una carta a punti per ogni studenti, domande alla classe, chi risponde vince un occhio. All’inizio gli studenti non capiscono cosa stia succedendo, poi ci prendono gusto e interagiscono (miracolo!). Funziona per qualche lezione, poi diventa ripetitivo.
2. Lavoro di gruppo su un caso concreto di comunicazione
Obiettivo: lavorare in gruppo su un progetto reale.
Metodo: learning by doing in classe
In azione: agli studenti è stato chiesto di sviluppare un piano di comunicazione su casi reali: dal lancio di una startup (L’Alveare che dice sì!, Maid for a Day, GET, Radiosa), allo sviluppo di un progetto di comunicazione per un evento (Startuppato, Web Marketing Festival). Due di questi progetti sono stati realizzati: il piano di comunicazione “L’alveare on Tour” de L’Alveare che dice sì! e il progetto #grabIT durante il Web Marketing Festival.
3. CIMEonTour al Web Marketing Festival
Obiettivo: rispondere ai dubbi degli studenti sul loro futuro professionale
Metodo: videointerviste
In azione: 9 studenti hanno partecipato al Web Marketing Festival come staff. Il loro ruolo? Intervistare i professionisti e fare loro le domande che ogni studenti di comunicazione si fa ogni giorno. Il risultato delle interviste lo trovate sulla pagina FB Comunicazione ICT e Media.
4. Lancio del blog Fuori dal Funnel durante l’evento “Le nuove professioni digitali”
Obiettivo: sviluppare un progetto di comunicazione.
Metodo: blogging
In azione: quattro studentesse di comunicazione che hanno partecipato al corso di Social Media Management, durante la partecipazione al Web Marketing Festival hanno ideato il blog Fuori dal Funnel che è ora online e sarà presentato durante l’evento “Le nuove professioni digitali.”
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