Interview è un racconto intimista. Un dialogo lungo un film che, partendo dal pretesto di un’intervista, mette a nudo due vite rinchiudendole in un appartamento di New York. Le vite di Pierre, un giornalista politico interpretato da Steve Buscemi (anche regista) e di Katya, un’attrice di soap opera, una starlette, incarnata da Sienna Miller. Due volti che diventano, nel corso del film, le due facce del sistema dei media: il giornalista è “l’informazione”, che si occupa delle faccende serie di politica e la starlette è “l’intrattenimento”, che si diletta con le facezie romantiche dei personaggi di una soap. Due forme di comunicazione che, barricate in un loft, sovrappongono le proprie voci: Pierre, impegnato in una telefonata a Washington, è disturbato dalla starlette che ascolta se stessa recitare in tv. Due volumi mediali che si pongono in conflitto fin dall’inizio del film, quando lei arriva in ritardo al ristorante in cui hanno appuntamento per un’intervista. Il ritardo è inconsciamente studiato per destare attenzione e invocare attrazione. Ma il tentativo fallisce, perché il giornalista è indifferente, non si fa attrarre, pensa alle “cose importanti”. Il conflitto nasce dal fatto che la starlette si sente “cosa importante” e lo dimostra concludendo l’intervista e autografando un iPod.
Il dialogo, dal tavolo pubblico di un ristorante, si sposta quindi in un loft e diventa più intimo. Dallo scontro i personaggi passano alle domande, suscitate dalla sfida di scoprire l’altro e mascherare se stessi. Domande bizzarre (“Do you like Fish Net Stockings, Pierre?” “Ti piacciono le calze a rete, Pierre?”) o banali (“Are you good at seducing man?) che portano a risposte rivelatorie. Alla domanda: “What makes a man attractive?” (“Cosa rende un uomo attraente?”), Katya risponde: “Scarf” (“Le cicatrici”). Cicatrici che nel proseguire entrambi vantano di avere, fingono di nascondere, giocano a scoprire. In quel loft Pierre e Katya tentano anche di scoparsi, ma non succede, perché lui non scopa le celebrity (“I don’t fuck celebrities”) e lei non scopa i signor nessuno (“I don’t fuck nobodies”).
L’intervista prosegue fino ad un divertito finale. Un finale che gioca a insinuare dubbi sul rapporto tra il volto pubblico, che si può trovare su Internet (“You can google me”, “Puoi cercarmi su Google”) e il volto privato, tra l’immagine mostrata ad una videocamere e i pensieri impressi in un diario. Un film non scontato che vale la pena di essere visto anche solo per la Miller che ci viene presentata un poco sfatta eppure attraentissima. Una Miller che, come in Alfie di Carles Shyer (2004) e in Factory Girl di George Hickenlooper (2006), si cimenta nella costruzione di un personaggio sempre in bilico tra l’ascesa e la disfatta. Sienna Miller, nei suoi film, si cala nel ruolo della starlette che prima dell’arrivo del giorno è già sulla via del tramonto. Una parte che le attrici della sua generazione interpretano molto spesso anche nel quotidiano, come viene narrato dalla cronaca giornalistica, dai media dediti all’informazione.
Interview costruisce dunque un discorso sul rapporto e lo scontro tra informazione ed intrattenimento usando due volti e due sguardi. I volti sono quelli dei due attori, che interpretano anche in parte se stessi: la Miller che, da attrice, si occupa di intrattenimento e Buscemi che, da regista indi, si occupa di “cose importanti”. I due sguardi invece sono quelli della macchina da presa che il regista Buscemi dirige sul set e della videocamera che i personaggi usano per intervistarsi. Interview è dunque un vortice di punti di vista, che si presenta come un film intimista, una storia privata. Ma è un intimismo che viene fatto esplodere fino a coinvolgere lo spettatore in un discorso che parla dell’oggi e di come l’informazione – in cerca di verità – e l’intrattenimento – in cerca di finzione – giochino, da dietro le quinte, a invertirsi le parti.
Interview [USA, 2007] di Steve Buscemi, con Steve Buscemi e Sienna Miller.
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