Ve lo confesso: non ho mai creduto a Babbo Natale. Nemmeno da piccola. Alla fine mi sembrava molto strana questa cosa che un uomo riusciva a gestire tutta quella mole di pacchi. E della sua esistenza ed efficacia non è riuscito a convincermi mai nessuno. Nemmeno Amazon.
Diverso invece per l’Intelligenza Artificiale. Il fatto che grandi moli di dati in pasto ad algoritmi più o meno intelligenti e/o auto-apprendenti riescano a estrarre significati utili mi pareva molto strano. Mai poi mi hanno convinta. E mi hanno anche spiegato che il crederci, per l’Intelligenza Artificiale così come per Babbo Natale, è il primo passo per ottenere un buon risultato.
Il secondo passo è scrivere una letterina con le specifiche e i desiderata, ma questa è la fine della storia. Cominciamo invece dall’inizio della (mia) storia (con l’AI, non con l’Oh, oh, oh), perché potrebbe essere quella di tanti altri marketer che nascono con un’approccio umanista, ma che l’altra faccia della scienza prima o poi devono affrontarla. E in tutta onestà forse è meglio affrontarla il prima possibile, dati i tempi che corrono (veloci).
Quando l’AI era troppo distante (dal rispondere alle domande di un umanista)
Nel 2007 avevo cominciato il mio dottorato in comunicazione, con un progetto di ricerca sull’evoluzione della TV nell’era dei social media e le opportunità dei sistemi di raccomandazione. Tutto quello che pochi anni dopo sarebbe diventato Netflix, insomma.
Era un dottorato interdisciplinare che andava a toccare discipline informatiche e umanistiche, cosa non banale all’epoca. Io ho sempre avuto una vocazione umanistica ma sono sempre stata affascinata dalle potenzialità della Computer Science non fine a se stessa, ovviamente, ma applicata.
Fatto sta che dopo qualche mese dall’inizio del dottorato, mi è stato fatto capire che dovevo scegliere una specializzazione. Ed è così che mi sono trovata sulla scrivania due volumi di 600 pagine di Intelligenza Artificiale.
Long story short: non credo di averli nemmeno aperti. Perché non ne comprendevo l’applicazione, probabilmente: erano troppi distanti dal darmi una risposta alla domande che avevo sul futuro della TV, non tanto su cosa tecnicamente fosse possibile, ma cosa umanamente fosse desiderabile.
Per scegliere la specializzazione sono quindi andata sull’Internet e ho cominciato a cercare studi che spiegassero i bisogni dei pubblici; ho così scoperto i sociologi che mi avrebbero poi accompagnato nel corso di tutto il dottorato, nella scrittura prima di una tesi e poi di un libro. Mentre quegli altri due libri di AI sono rimasti sulla scrivania. Ehm, no, cioè… ehmmm… ovviamente intendevo: li ho restituiti subito alla biblioteca del Dipartimento di Informatica!
Di quanto è arrivato un libro che spiega il senso dell’AI ai marketer (umanisti)
Ecco la svolta della storia: quella in cui arriva il libro che ti consiglio di mettere nella tua libreria (ma in realtà che starebbe bene anche nella biblioteca del Dipartimento di Informatica): Marketing (artificialmente) intelligente, di Ester Liquori.
Libro letto, lo giuro, nel giro di un weekend come si leggono quei libri in cui tra una pagina e l’altra trovi le risposte alle tue domande. Cos’è l’AI, cosa non è, a cosa non serve (a risparmiare), a cosa serve (a spendere meglio per ottenere di più) e, soprattutto, come approcciarla: credendoci, avendo la pazienza di lasciarla apprendere, addestrandola con buoni dati. Perché se i dati in ingresso non sono buoni il rischio è che: Garbage in, garbage out, e che le discriminazioni e i pregiudizi da cui è alimentata, vangano replicati ed esasperati.
Infine, Ester spiega cosa l’AI può servire ai marketer: “per sfruttare i dati raccolti sul pubblico per adattare il contenuto o i messaggi al profilo dell’utente in modo che il contenuto presentato all’utente sia adatto ai suoi interessi nel momento in cui massimizza il suo intendo di ricerca (p. 88).”
Il succo del libro, disrupting forse per molti (marketer) è che con l’AI si può fare un passo (da giganti) oltre i metodi tradizionali di analisi delle target audience basate su insights, ricerche di mercato e personas, per approcciare un metodo che si “affida” (e fida) dell’AI per leggere dati da fonti eterogenee, li classifica, crea a posteriori segmenti di pubblico simili e suggerisce elementi per creare nuovi spunti di relazione.
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