(quello che @agneseh pensa della scrittura e dei tostapane)
Cara Virginia ti scrivo.
O meglio.
Twittero @virginia.
Insomma:
@virginia, so che anche tu avevi i tuoi problemi, secoli fa (ok, è solo un secolo, ma sembrano tanti) a stanziarti, a rintanarti, … Sì, insomma, a crearti una stanza tutta per te, per sé, insomma per quell’@virginia che ora saresti.
Già, perché non sai quanti problemi a stanziarci e definirci e relazionarci c’abbiamo noi, che siamo un pubblico connesso e parliamo in terza persona singolare.
Noi che se dobbiamo interloquire con un amico scriviamo su Facebook: @caroamicotiscrivo perché mi manchi un po’. Così @caroamicotiscrivo vede sul suo profilo che mi manca un po’ e allora magari mi caroamicomiscrive anche lui. Oppure se non c’ha tempo magari mi poka e basta. Ti sembra un po’ poco? Ma no!!! Perché in fondo non c’è amicizia che non si basi su un poko di poke(s).
@virginia. Non ti piace come sta proseguendo questa lettera? Solo perché si sta riempiendo di k, lettere ke ad una donna di lettere mettono un poko ribrezzo?! Dai, @virginia, non fare la #virginella. Che chissà come parlavi tu quando prendevi il tè con le tue @pokeamiche che c’avevi secoli fa. Che sono solo un secolo ma sembrano tanti. Mentre le tue amike erano poke e *sembravano* poke. Magari le pokavi tutti i giorni, ma poka un giorno poka l’altro, scrivi a
@caraamicatiscrivoI,
@caraamicatiscrivoII e
@caraamicatiscrivoIII,
alla fine gli indirizzi a cui indirizzarti finivano molto prima del secolo breve. E allora, secondo me, oltre ad averci problemi a costruire la tua stanza per te, ci avevi anche problemi a costruirti un circolo d’amiche con cui socializzare senza entrare nel circolo vizioso del #giàdetto #giàsentito #parliamodaltro #siamotropposelfreflexive #autopoieticità.
Per non parlare della base di fan. Sì, insomma, come diavolo sei riuscita ad emergere all’attenzione dei pubblici disconnessi? Oh donna senza stanza, senza tante relazioni (e pure un poco rompicoglioni)? Avrai mica usato il metodo antico quanto il mondo? Quello che quando i secoli erano ancora lunghi tante @maddalenesenzatantemadeleine già avevano messo a punto (e tu hai preso appunti). Insomma @virginia, quella stanza tutta per te, che volevi creare per scrivere, riflettere, costruire la tua persona di donna emancipata ed emancipante, non è che, alla fine… quella stanza, proprio tutta per te non era?
No, no. Scusa, non defriendarmi? “Defriendarmi?” Sì, defriending, in italiano si coniugherà: io defriendo, tu defriendi, egli defrienda, noi defriendiamo… ah, no, non servono tutte le coniugazioni. Basta la terza persona. Perché noi che friendiamo e defriendiamo nei pubblici connessi, parliamo all’alterità vocativa dall’@ preceduta.
Per cui, per tornare al motivo del mio Twitter, sì, che poi è diventata una lettera, perché non sono stata nei 140 caratteri, però è più una conversazione, perché ho usato un linguaggio colloquiale, però alla fine è un flusso di coscienza, sia perché sei morta e non rispondi, sia perché, #anchefosseiviva, non so se avremmo molte opportunità di interagire. Visto che tu sei disconnessa, in quella stanza tutta per te, senza manco il wi-fi.
@virginia (così concludo (non è vero (sì, dai, sbrigati) (uff, ok, ancora un paragrafo))) ma sai quanto è difficile per @agneseh costruirsi una stanza tutta per sé visto ke si è imbarcata per l’oltreoceano e non riesce manco a tornare nella terra natale perché il pilota dell’American Airlines ha mangiato un cheesburger avariato e adesso è un po’ costipato e allora il volo è cancellato? E allora cosa fa @agneseh, in un aeroporto straniero per 10 ore di fila in attesa del prossimo imbarco (per l’oltreoceano al contrario)? Scrive a @virginia e costruisce uno spazio simbolico proprio, all’interno di quello spazio che non è manco terzo ma quarto quale l’aereoporto intercontinentale di Chicago O’Hara e via… con il vento? No, con il flusso, di coscienza. Che però a differenza di quelli che scrivevi e rielaboravi ed editavi e pubblicavi… ho deciso di battere (sulla tastiera del mio MacProcione) e fottermene (dell’editing, che tanto lo fa Word, ma male) e pubblico. Dove? Qui. Nella mia stanza tutta per me. Di chi? Di @agneseh, quella terza persona che negli spazi aereoportuali costruisce un “per sé” digitale nello spazio terzo dell’online. Come? Scrivendo. Me l’hai insegnato tu, vero @virginia?
p.s.: ho usato parole forti per parlare di @virginia, ma, non fraintendetemi, I <3 @virginia. Molto prima di quanto @agneseh abbia lovvato (e si sia IDentificata con) qualunque personaggio trasmediale che ha followato online.
#p.p.s: ma @virginia è morta o è ancora viva come Levi Strass che quando è morto l’hashtag “#LeviStraussEraAncorAvivo?” è diventato più popolare di “#MeglioILicantropiOIVampiri?”
p.p.p.s.: se non sapete cos’è un hashtag, un luogo terzo o un pubblico connesso chiedetelo su FriendFeed. Io l’ho imparato lì, grazie ai miei FF amici che, a differenza di @virginia rispondono, quando li interpello. C’m on @virginia, vieni fuori dalla tua tomba! Hashtagga anche tu “#MeglioILicantropiOIVampiri?”
p.p.p.p.s: La letteratura è cosa viva. Oltre che bbona e ingiusta (in quanto ingiustificabile). Per questo, vivvadio che evolve. Vivaddio che s’ibrida. Vivvaddio che si sporca, si sudicia, si… Vivaddio che si increola. Non esistono le parole “increaola”, “f***riending”, “MacProcione”? Beh, non esiste nemmeno…
…vivaddio.
E allora? *inventiamo* le parole e le divinità.
Che un paio di neologismi e di culti in più non fanno male a nessuno. Basta che non ci lasciamo convertire dei tostapane.
p.p.p.s.: se non sapete quale religione professano i tostapane chiedetelo su Twitter con l’hashtag #cylon (non scrivere #siloni che se no la gente s’inkazza).
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