Un libro che parla del complicato rapporto tra bambini e social network, dallo sharenting al drama.
Nasci, cresci e posta. I social network sono pieni di bambini: chi li protegge? Di Simone Cosimi e Alberto Rossetti. Editore Città Nuova, 2017
Quando scrivo un articolo per il blog, tra le prime cose che faccio è cercare online quanto interesse c’è sull’argomento. Con la parola “bambini social network” per la prima volta mi è capitato che non ci fosse un volume sufficiente nemmeno per Google per darmi una stima delle ricerche. Nessuno associa i bambini ai social. In tanti pensano come iscriversi a Tinder anche senza account Facebook, altri a come cancellare il proprio profilo o rubare la password a qualcun altro. Si preoccupano poi del fatto che i social media possano generare dipendenza. Ma tra i tanti dubbi o preoccupazioni, praticamente nessuno si chiede come i bambini usano i social. Forse non vogliono saperlo. Perché forse l’unica associazione tra social e bambini sono quelle foto postate dai genitori sul proprio profilo che hanno fatto guadagnare così tanti like. È il fenomeno dello sharenting, la pratica attraverso cui i genitori condividono pubblicamente le foto dei figli prima che questi siano sufficientemente grandi da poterglielo impedire.
Tra i bambini e i social c’è quindi un terzo incomodo: gli adulti. Che non solo non si pongono il problema di come i figli possano usarli, ma ne fanno loro stesso spesso abuso. Nel libro di Cosimi e Rossetti si parla di questo e di altro, descrivendo tutte le complessità di un fenomeno, di cui ancora si cerca e si scrive poco.
Il ruolo delle piattaforme
I social network sono pieni di bambini. Anche se tecnicamente non potrebbero esserlo, visto che la maggior parte delle piattaforme ne impedisce l’uso per i minori di tredici anni. Nonostante questo non ne cancella i profili ne’ tanto meno ne denuncia l’esistenza. E perché dovrebbe farlo? Dopo tutto si tratta di potenziali consumatori, senza portafoglio ma con l’arma della lagna al proprio fianco.
Il ruolo dei media
I mass media si preoccupano dei bambini sui social solo se possono costruirci sopra una notizia, e di sicuro sarà cruenta. I social infatti piacciono ai giornali e alla Tv solo se fanno vittime. Così leggendo i giornali sembra che sui social i minorenni non facciano altro che bullare i compagni, istigare all’anoressia o al suicidio.
Le pratiche dei ragazzi: il drama
E se invece non avessimo capito nulla? E se invece i social non fossero altro che la continuazione di una relazione che i bambini hanno cominciato da un’altra parte e che sullo schermo perde il suo vero contesto e quindi non può essere compresa dagli adulti? È quello che danah boyd nella sua ricerca sull’uso dei social da parte degli adolescenti americani ha chiamato “drama.” Sui social i ragazzi scherzano fra loro, portano all’eccesso il loro prendersi in giro, drammatizzano le relazioni, ma lo fanno per gioco. Sono solo gli adulti a prenderlo troppo sul serio e a parlare a vanvera di cyberbullismo.
Le pratiche dei genitori: lo sharenting
E se invece fosse più preoccupante l’irresponsabilità degli adulti, con la loro mania di rendere tutto permanente, perfino le foto dei primi bagnetti. Album fotografici con ogni fase dello svezzamento dei figli, perfino profili a loro dedicati prima che possano essere in grado di intendere e di volere, figuriamoci di postare. Eppure è una pratica non solo ampiamente diffusa, ma anche accettata. Perché tanto fino a poco tempo fa nessuno poteva dire loro niente. Fino a quando quei bambini sono diventati grandi e hanno cominciato a fare notare ai genitori di non avere i diritti per l’uso della propria immagine. Così da qualche tempo i genitori troppo espansivi sono a rischio denuncia. Dai propri figli.
Il blog di Alberto Rossetti: per un approfondimento
Per chi vuole capirci qualcosa di più, tutte le date delle presentazioni (e un bel po’ di approfondimenti) sul blog di Alberto Rossetti.
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