Lo sapevi che il concetto di “wellness” l’ha introdotto nel marketing Nerio Alessandri, quel ragazzo che a vent’anni ha costruito le prime macchine da palestra che poi sono diventate Technogym? Io l’ho scoperto leggendo la sua biografia “Nati per muoverci“ che è un viaggio estremamente interessante sia per chi è appassionato di innovazione e imprenditorialità, sia per chi si occupa di marketing.
Un viaggio che corre su due binari paralleli: la tecnologia, nel suo risvolto più sociale e finalizzato all’innovazione, e la retorica, nella sua accezione più positiva: come strategia di comunicazione che persuade e, combinata con lo storytelling, costruisce mondi. In questo caso specifico, che costruisce il mondo del wellness, in cui tecnologia e retorica combinate insieme hanno consentito di trasformare il fitness puramente sportivo in benessere (collettivo). Un mondo (che i più cinici e/o markettari chiamerebbero “mercato”) in cui sono nate negli ultimi anni e con una forte accelerazione negli ultimi mesi soluzioni di wellness phygital: in cui palestra, piattaforme online e social sono integrati come offerta e strategia di comunicazione transmediale per costruire un’esperienza di benessere onlife (e adatta al lockdown e al new normal in cui viviamo vivremo).
La storia di Technogym: dal garage alla Virgin
In “Nati per muoverci” c’è la storia dell’innovatore che a 22 anni nel garage di casa costruisce i primi attrezzi da palestra che poi diventeranno le famosissime macchine Technogym. La strategia è molto semplice: ascolta le esigenze di chi si allena e progetta funzionalità e design innovativi.
C’è la storia dell’imprenditore che scopre che negli Stati Uniti sta emergendo un nuovo trend di allenamento e un nuovo segmento di mercato e decide di cavalcarlo, innovandolo. Ed è così che Technogym diventa la prima, anzi La (con la L maiuscola) wellness company e che un imprenditore italiano convince gli americani che l’allenamento non è solo fitness ma deve essere concepito nel contesto del più ampio “benessere”.
C’è la storia commerciale di Technogym, un successo che parte dall’innovazione e combina intuizioni di marketing: dalla scelta di utilizzare un nome inglese (perché negli anni 80 associare il Made In Italy ad un’azienda sportiva non era strategico), allo sviluppo business della prima ora (fatto a partire dall’elenco di palestre trovate sulle Pagine Gialle), fino all’importanza delle partnership con gli sportivi (non solo star del calcio ma anche della Formula 1).
C’è la storia dell’imprenditore innovativo che di anno in anno, di decennio in decennio, anticipa i tempi e introduce nel mondo dell’allenamento tecnologie, dispositivi e funzionalità che faranno la storia del settore: dalle macchine da palestra, ai wearable, fino alle piattaforme di allenamenti cloud.
È del 2012 mywellness: la piattaforma cloud che archivia e sincronizza i dati di allenamento. I contenuti arriveranno qualche anno più tardi, grazie alla partnership con la Virgin e alla combo: Technogym Bike e Revolution che alla modica cifra di 2.950 € + 30 € mensili ti porta a casa una mini palestra per appassionati di spinning (bike + video allenamenti), con un modello alla Peloton per intenderci.
Qui finisce la storia raccontata nel libro e comincia la mia trattativa con i commerciali della Technogym a cui cerco di spiegare che, visto che sono abbonata alla Virgin, ho già i contenuti on demand di Revolution. Quindi, essendo disposta a pagare praticamente 3k per la bici con monitor, mi aspetto una certa flessibilità nello svincolare l’abbonamento da 30 € al mese. Invece nulla. Ma nulla proprio. Tanto ormai mi conosco e se si parla di fitness wellness mi diverte pure sperimentare altro. Ed è così che rinuncio all’acquisto della video bike e mi dedico alla creazione di un palinsesto di lezioni online.
Allenarsi onlife: tra on-demand, live e community transmediale
Quando si parla di allenamento online, la retorica utilizzata da brand (come Technogym) per costruire un proprio posizionamento e creare un nuovo mercato deve lasciare spazio a quella funzionale all’engagement. Nel 2020 il mercato delle persone appassionate di fitness che desideravano allenarsi online era già bello creato dal contesto (di palestre chiuse o ad accesso ridotto). Quindi chi operava in questo settore ha lavorato su due fronti: quello tecnologico (nella non banale sfida di sviluppare in breve tempo piattaforme adatte alla gestione dello streaming, o potenziare quelle esistenti, o accelerare il lancio di quelle previste) e quello dell’engagement (nella non banale sfida di riprodurre online coinvolgimento, motivazione e fidelizzazione che i trainer offline sono molto abili a creare, quindi nel creare un’esperienza onlife).
Da cliente Virgin, ho notato come prima cosa l’evoluzione del servizio Revolution. Servizio / brand nato un po’ zoppicante qualche anno fa come tentativo di creare la prima piattaforma phygital di fitness, con un’esperienza integrata online – offline (scarico l’app e prenoto la lezione di cycling), è poi diventato una piattaforma ad uso degli abbonati ai club Virgin per poter fare lezione oltre alla disponibilità dei gruppi fisici. Caso d’uso (ahimè #truestory): “se vuoi allenarti in orari improponibili, o arrivi 30 secondi in ritardo e qualcuno ti ha preso il posto sulla bike, o se l’ultima lezione del venerdì sera è stata annullati (serio?!), ti telefona il tizio della reception mentre sei lì davanti alla sala ormai chiusa/piena/vuota e ti consiglia di provare una “nuova esperienza”. La cosiddetta “esperienza” consiste nell’andare nella zona cardio della palstra e usare la bike Revolution con schermo incluso in cui puoi vedere i video live o registrati (quel prodottino “economico” di cui sopra realizzato in partnership con Technogym per intenderci). Tutto questo pre-covid.
Post covid, o meglio soprattutto intra-covid, la Virgin ha deciso di aprire il servizio di allenamento digitale a tutti, in abbonamento. Da qui in poi la sfida come dicevo è quella dell’engagement, che loro si giocano su due fronti: innanzitutto costruendo un’identità di community Virgin italiana (ma molto, molto, molto milanese ovviamente) attraverso uno stile e tono di voce che accomuna tutti i trainer. Ed è così che i glutei diventano ciapet e che si sentono durante l’allenamento frasi come “Oggi ho messo il cappellino perché stiamo volando talmente alto che avevo paura di bruciarmi… Non ci credo di averlo detto veramente”. La Virgin parla così al pubblico più alto del Milanese Imbruttito che ironizza della sua stessa imbruttitura e tamarraggine, perché alla fine è il modo migliore per fatturare, neh?! La seconda strategia della Virgin è la comunicazione transmediale: le lezioni modulari (da 15-60 minuti) sono linkate retoricamente una all’altra dai trainer stessi che incentivano gli utenti ad aggiungere un altro slot di lezione (“se non sei troppo stanco”, o se “vuoi dare il massimo!”), dedicare più tempo allo stretching (il grande bistrattato del fitness, ma il cuore del wellness) con lezioni da 20 minuti ad hoc e, naturalmente, ad andare su Instagram e lasciare feedback sulla lezione.
Se la Virgin crea l’interattività con il pubblico attraverso canali paralleli come Instagram, probabilmente anche come strategia di fidelizzazione basata sull’influencer marketing dei trainer stessi, un’altra piattaforma, Buddyfit, sposta la strategia sul Live.
Rispetto alle altre piattaforme infatti tutte le lezioni di Buddyfit sono in diretta. Questo consente innanzitutto un’interazione attraverso chat tra utenti e trainer che non si limita a feedback sulla lezione, ma integra anche domande di lifestyle (da cosa hai mangiato a colazione a quante calorie stiamo bruciano) che rendono la lezione più entertaining e aumentano il senso del gruppo. Il secondo aspetto distintivo del live è la capacità di creare fidelizzazione attraverso la logica dell’appuntamento e la costruzione di rituali (quella che caratterizza la fruizione della TV rispetto a una piattaforma streaming on demand, ad esempio). Il vedersi tutti i lunedì alle 7.30, il trovarsi tutti insieme il pomeriggio di Natale per “smaltire il Panettone”, rafforza il senso di community e fa vivere lo sport, anche quello “a distanza”, come una pratica sociale che sfrutta la motivazione del gruppo per diffondere la retorica (anche qui nell’accezione più positiva del termine) del wellness.
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