Dalla persistenza alla comunicazione effimera
Nell’ultimo mese andando in giro a presentare Vivere Online mi sono resa conto di una cosa: che tutto quello che per dieci anni abbiamo dato per scontato in relazione ai social media sta rapidamente trasformandosi.
Stiamo entrando in una possibile terza era dei social media: dopo quella basata sulle comunità online e quella basata sui social network ora stiamo entrando nell’era della comunicazione effimera.
Comunità online | 1990 | Forum | Nickname | Nati negli anni 70 |
Social network | 2000 | MySpace, Facebook, Twitter | Profilo | Millennials oGen Y, nati negli anni 80 |
Messaggistica | 2015 | WhatsApp, Telegram e Snapchat | Code | Gen Z, nati negli anni 90 |
Dico “possibile” perché quando sei nel mezzo di un cambiamento difficilmente ne puoi prevedere la portata e quello che può sembrare uno strumento che rivoluzionerà la società magari tra 6 mesi nessuno più lo conosce.
Questo però (nel bene o nel male) non ci giustifica dall’ignorare i piccoli segnali di cambiamento, perché solo studiando le dinamiche online nella loro evoluzione riusciamo a comprendere la complessità del mondo comunicativo che ci circonda.
Pubblici connessi: il paradigma della persistenza
Al bando le premesse in odore di fuffologia, arriviamo alla sostanza: quello che sta (probabilmente) cambiando è la permanenza dei dati online.
Nel lontano 2008, nella sua tesi di dottorato, danah boyd ha identificato una sostanziale differenza tra l’interazione online e quella offline. I dati digitali condivisi nei pubblici connessi hanno infatti 4 proprietà: persistenza, ricercabilità, replicabilità e scalabilità. Abbiamo citato e citato questa sua osservazione dandola ormai per assodata.
Ne è quindi derivata una riflessione sulle problematiche relative alla privacy online nelle sue due accezioni:
- privacy sociale: riguarda la visibilità dei dati personali nei confronti di altri individui (amici, genitori, colleghi, …).
- privacy istituzionale: riguarda la visibilità dei dati personali da parte delle organizzazioni (pubbliche e private). In particolare le piattaforme online utilizzano i nostri dati (derivati dalle informazioni pubblicate esplicitamente e dai dati di tracciamento) per costruire un mondo digitale fatto a nostra misura: con le informazioni e le proposte commerciali affini ai nostri gusti.
Utilizzando i social network come Facebook abbiamo sviluppato diverse strategie per preservare la privacy sociale. Per quanto riguarda la privacy istituzionale abbiamo invece meno potere; se vogliamo utilizzare gli strumenti online non ci sono mezze misure e dobbiamo accettare il compromesso di perdere il controllo sui nostri dati. Quando creiamo un account gMail, Facebook o Twitter per accedere ai loro servizi gratuiti acconsentiamo ai termini di utilizzo della piattaforma. Il che equivale a concedere all’azienda che la gestisce l’utilizzo dei nostri dati a suo piacimento.
Dalla persistenza alla volatilità: l’era della messaggistica istantanea
Ci sono state alcune proposte alternative al modello di business ormai consolidato delle piattaforme di comunicazione in cloud; ad esempio il social network Diaspora si è proposto come alternativa a Facebook proponendo un’architettura distribuita in cui era l’utente a gestire i propri dati. Ma è rimasto un esperimento per pochi e il dominio di Facebook è ormai incontrastato quasi in tutto il mondo.
Fino a qualche mese fa. Quando anche in Italia nel quartier generale dell’innovazione ha cominciato a circolare il rumor che Facebook non fosse più così cool. Con “quartiere generale dell’innovazione” ovviamente intendo i corridoi delle scuole superiori, in cui Facebook ormai è percepito come un luogo per adulti. Ed è così che per starsene un po’ tranquilli con gli amici bisogna rivolgersi alla messaggistica istantanea.
Attenzione: stiamo parlando di una modalità di comunicazione più vecchia del web, ma che fino ad ora è sempre stata l’ovvio canale di supporto ad altri ambienti di comunicazione (dalle email, ai forum, ai social network). Adesso invece la messaggistica istantanea acquisisce una sua centralità quasi paradigmatica: la comunicazione online sta puntando all’istantaneità, all’effimero. Concetti che stanno alla base di due dei principali servizi di messaggistica emergenti: Telegram e Snapchat. I loro numeri sono ancora piccoli, un ordine di grandezza inferiore al leader del mercato della messaggistica WhatsApp. Però nel loro proporsi come alternativa di architettura (distribuita) o interazione (effimera) rispetto all’ambiente Facebook sono riusciti a raggiungere un obiettivo a cui Diaspora non si è nemmeno avvicinata: raggiungere rapidamente i 100M (Snapchat anche più rapidamente di Facebook).
Telegram | Snapchat | ||
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Anno di lancio | 2009 | 2013 | 2011 |
Fondatori | Jan Koum e Brian Acton | Nikolai e Pavel Durov | Evan Spiegel |
Esperienza passate | Impiegati di Yahoo! | Founder VKontakte | Classe 1990 |
Valore | risparmiare soldi sull’invio di messaggi con facilità | comunicare in sicurezza | connettersi con più autenticità (tanto tutto è volatile) |
MAU (in milioni) | 1.000 | 100 | 200 |
Revenue | pay | donazioni | storie sponsorizzate e notizie editoriali |
La retorica della app di messaggistica
Quindi, cosa propongono di nuovo queste app? Ognuna decostruisce uno dei capisaldi delle precedenti piattaforme online, o meglio, dice di farlo:
WhatsApp: i founder contro il modello pubblicitario (ahahahah)
Creata da due ex dipendenti di Yahoo! Jan Koum e Brian Acton, WhatsApp dice no all’utilizzo dei dati degli utenti e alla pubblicità:
La pubblicità non è solo un’interruzione dell’estetica, è un insulto alla vostra intelligenza e un’interruzione dei vostri pensieri. […] Ricordate: quando si parla di pubblicità, il prodotto siete voi, gli utenti. […] I vostri dati, qui, non vengono nemmeno considerati. Non ci interessano. […] Quando le persone ci chiedono perché facciamo pagare per WhatsApp, siamo soliti rispondere “Hai considerato l’alternativa?”.
Questo dichiarava WhatsApp nel Giugno 2012, due anni prima di essere acquistato da Facebook. Già.
Telegram per la protezione della privacy
I fratelli Durov founder founder di VKontakte, lasciano la madre Russia “incompatible with internet business at the moment” e fondano l’anti WhatsApp: una piattaforma con client open source che integra un sistema di crittografia end-to-end e promette la salvaguardia della privacy istituzionale (dalle FAQ di Telegram).
Big internet companies like Facebook or Google have effectively hijacked the privacy discourse in the recent years. Their marketers managed to convince the public that the most important things about privacy are superficial tools that allow hiding your public posts or your profile pictures from the people around you. Adding these superficial tools enables companies to calm down the public and change nothing in how they are turning over private data to marketers and other third parties.
At Telegram we think that the two most important components of Internet privacy should be instead:
-
Protecting your private conversations from snooping third parties, such as officials, employers, etc.
-
Protecting your personal data from third parties, such as marketers, advertisers, etc.
E poi nell’aprile del 2016 è stata adottata anche da WhatsApp. Ma tanto Telegram ormai c’ha i suoi fanboy.
Snapchat e la comunicazione effimera
Infine l’app della comunicazione visuale e dell’effimero, nata come progetto di un esame universitario, in 3 anni è diventato il luogo di ritrovo per adolescenti, come lo è stato Facebook, MySpace e prima ancora il centro commerciale o la piazza del paese. In questo caso la privacy sociale è garantita grazie ad una user experience completamente differente dai social network che diventa la barriera all’accesso per gli over 30.
E per chiudere il cerchio: qual è il modello di revenue di Snapchat? La pubblicità! Perché altro che messaggistica istantanea, Snapchat è una Tv interattiva, un CD Rom dinamico, uno YouTube in cui per guadagnare visibilità l’unico modo è pagare, un Instagram che ha capito come integrare i contenuti sponsorizzati con l’esperienza utente senza l’effetto dell’interruption marketing.
È meglio WhatsApp o Telegram?
Nel bene e nel male non viviamo in un cartone della Walt Disney, ma in una realtà più complessa in cui non ci sono buoni e cattivi ma ennanta sfumature di grigio. Quindi non son qui per prendere posizioni su quale sia l’app migliore ma per raccontare come le utilizzo. Perché per forza o per amore chi si occupa di comunicazione digitale deve conoscere gli strumenti che le persona usano.
Alla prossima (con Telegram e Snapchat).
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