Una cosa di cui sono abbastanza sicura, è che cambierà (di nuovo) il senso dello spazio. Potranno anche non essersi ancora affermate applicazioni specifiche, potrà anche non essere ancora percepito come una ambiente sociale, ma la diffusione del wi-fi sta sicuramente cambiando il “dove sono” e l’”a chi sto parlando”.
C’è questo bel capitolo, all’interno di Networked Publics, sui luoghi. Parla di come le reti digitali cambiano il modo di percepire lo spazio pubblico.
E lo fa a partire da un posto ben specifico: Starbucks.
Lo porta come esempio di uno spazio, il caffé, che nel XVIII secolo era THE Sfera Pubblica per eccellenza. Ora invece, dicono Varnelis & Friedberg, esprime il bisogno degli individui di “aggregarsi in solitudine” (“gather toghether, even if in our solitude“).
Un’ipotesi potrebbe essere che gli hotspot messi a disposizione dai locali commerciali costruiscano un luogo di aggregazione senza socializzazione. Uno spazio sociale funzionale non all’interazione con i cafégoers compresenti, ma alla condivisione della propria assenza con persone che frequentano quei luoghi fisici per abitarne comunicativamente altri.
Ad aggregare, dunque, è il bisogno di essere altrove? Oppure il desiderio di sentirsi immersi nel corpo della folla, quando si devono convogliare le proprie energie mentali in un lavoro digitale?
Vi capita mai di essere a casa, davanti al computer, metterlo in borsa, entrare in un bar, connettervi ad internet e continuare a fare quello che facevate nella vostra casa silenziosa 30 minuti prima?
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