Tu che studi i social, cosa pensi dei selfie?

Di selfie penso di essermene fatti 5 in vita mia. 4 dei quali ben prima che la parola selfie fosse coniata.
Il mio personal boom dei selfie è stato attorno al 2006, quando usavo come profile pic immagini che mi ritraevano con una videocamera o fotocamera davanti allo specchio.
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Allora questo genere di foto erano indice della riflessività tipicamente tardomoderna.

Poi sono diventate mainstream e sono stati associati al narcisismo e a pratiche giudicate abominevoli dai benpensanti quali l’uso del selfie stick. Io in realtà interpreto quello scomodo aggeggio esclusivamente come uno strumento per fare foto in viaggio. L’alternativa di dare in mano lo smartphone ai passanti è diventata impraticabile: il valore che c’è dentro in termini di dati e informazioni non è neanche paragonabile a quello di una compatta che si usava un tempo per farci fare foto davanti a paesaggi e monumenti.

Ma, tralasciando l’abominevole stick, cosa c’è da dire dei selfie?

Non volendo entrare nel dibattito sul narcisismo, personalmente ho da dire solo tre cose sui selfie, o meglio, sulla pubblicazioni di immagine audio visuali online:

1) che sono uno strumento per mantenere il contatto costante con persone intime. Me lo ha confermato Nathan Jurgenson che ha studiato approfonditamente SnapChat (tanto da diventare un loro consulente esterno): la condivisione di foto della quotidianità svolge una funzione fatica, per mantenere aperto il canale di comunicazione (conversazione privata). Dai bimbi che vivono nelle favelas e pubblicano selfie per fare sapere ai genitori che stanno bene (Nemer et al. 2015), a chi li usa per dimostrare la propria vicinanza ai cari di un defunto, fotografandosi durante un funerale (Meese et al. 2015).

2) che l’estetica, la retorica e anche l’etica dell’autenticità che caratterizza questa pratica è stata incorporata nella comunicazione massmediale. Dai videomessaggi che le pop star condividono online per simulare vicinanza con il pubblico (Vellar 2012), fino ai meat puppet, dalla storica Lonelygirl15 alla più recente e nostrana Martina Dell’Ombra.

3) sebbene siano tanto denigrati gli auto-scatti auto-condivisi da un adulto, quello che personalmente ritengo moralmente, legalmente e pragmaticamente sbagliato è la condivisione non tanto di ciò che è tecnicamente un selfie, quanto delle foto dei minorenni che vi circondano. Una generazione di pupattoli paffuti usati per fare self branding da parenti sovraesposti potrebbero tra qualche anno chiedere di essere risarciti se non altro attraverso l’eliminazione di tutte le foto per le quali non hanno firmato il consenso per la pubblicazione. E poi: lo sapere qual è una delle principali fonti di contenuti pedopornografici, sì? Suvvia: piuttosto compratevi un gattino!

 

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